L'Impatto di scuola e religione sulle divisioni etniche in Malesia

Alcune persone malesi, di spalle all'osservatore, si stanno abbracciando guardando verso la città di Kuala Lumpur. Alcuni di loro tengono una bandiera malese in mano. Sullo sfondo è possibile scorgere acluni grattacieli di Kuala Lumpur.
Davide smiling while holding a rat

Scritto da Davide Crestini

28 settembre 2023 14 min di lettura

La Malesia, con la sua ricchezza di etnie, lingue e tradizioni religiose, rappresenta un affascinante mosaico culturale. Sin dal raggiungimento dell'indipendenza nel 1957, ha cercato di coltivare l'unità tra le sue diverse comunità. Tuttavia, questo cammino verso l'unità nazionale non è esente da ostacoli. Questo articolo si addentra nel cuore del vibrante mix etnico malese, esplorando i legami che uniscono queste comunità e le sfumature che le rendono uniche. Si discute anche del delicato equilibrio tra stato e religione, e di come le scuole vernacolari, pur nate con nobili intenti, possano involontariamente accentuare le divisioni etniche, rendendo più sfuggente l'obiettivo dell'unità nazionale. Scopri come la Malesia naviga in queste acque complesse, in cerca di una coesione che celebri la sua diversità senza seminare divisione.

La Malesia è spesso celebrata come un crogiolo di culture ed etnie, un palcoscenico dove si intrecciano diverse tradizioni linguistiche, culturali e religiose. Nel cuore di questo panorama demografico, emerge una distinzione significativa tra le comunità indigene, raccolte sotto il termine ombrello di bumiputra, e le comunità di migranti, con radici principalmente cinesi ed indiane, identificate come non-bumiputra.

Il contingente bumiputra, che comprende i malesi, gli Orang Asli, e altre minoranze tribali, forma circa il 62,5% della popolazione nazionale. I residenti cinesi costituiscono circa il 21%, mentre gli indiani rappresentano circa il 6,5%, con il restante 10% composto da non-cittadini provenienti da svariati contesti, inclusa l'Europa.

Tuttavia, la situazione non è sempre stata tale. Fino agli albori del XIX secolo, la Malesia presentava una composizione demografica piuttosto omogenea, essendo principalmente abitata da malesi, che nel 1880 costituivano circa il 90% della popolazione della Malesia Peninsulare. Tale quadro subì una trasformazione radicale durante il periodo coloniale britannico, iniziato nel 1874 e protrattosi fino all'indipendenza della Malesia nel 1957. Le politiche britanniche incoraggiarono le migrazioni, specialmente dalla Cina e dall'India, trasformando la Malesia da una società essenzialmente mono-etnica in una multi-etnica[1].

Indiscutibilmente, l'eterogeneità culturale della Malesia ha impresso una marcata impronta sulla storia, l’architettura, le tradizioni e persino la gastronomia del Paese. I piatti malesi—un vero gioiello del Sud-Est Asiatico—si distinguono per la loro incredibile varietà e gusto. Molte specialità culinarie malesi fondono elementi di diverse tradizioni, dando vita a creazioni gastronomiche uniche e irresistibili. Sebbene sarebbe intrigante esplorare l'ampia gamma delle delizie culinarie malesi, questa discussione va oltre l'ambito del presente articolo.

La convivenza di molteplici etnie ha portato con sé anche una serie di sfide che la Malesia ha cercato di affrontare fin dalla sua indipendenza nel 1957. In terra malese, il discorso sull'unità è un leitmotiv persistente, sebbene raggiungere una coesione totale non sia impresa semplice e necessiti di un impegno costante. È per questo che, anche dopo l'addio definitivo dei britannici, la Malesia ha dovuto confrontarsi con una serie di questioni che hanno lasciato un segno indelebile sul suo scenario politico. Tali sfide non rappresentano mere ombre del passato; sono tematiche vivamente attuali che continueranno presumibilmente a modellare l'orizzonte politico del paese nei prossimi anni.

Etnie della Malesia

Prima di esplorare le sfaccettature complesse legate alla diversità etnica e culturale, è cruciale tracciare le radici e le dinamiche delle varie comunità etniche che costituiscono il mosaico sociale della Malesia.

Foto realistica di persone appartenenti a diversi gruppi etnici in Malaysia che camminano su una strada a Kuala Lumpur.

Persone che camminano per una strada della Malesia / Credits: DALL E

Malesi

I malesi affondano le loro radici nel gruppo linguistico Malayo-Polinesiano, evidenziando legami ancestrali con i marinai del Borneo che si trasferirono nella Penisola Malese circa 1.500 anni fa.

Rappresentando il 50,1% della popolazione della Malesia, i malesi costituiscono la spina dorsale etnica del paese, detenendo di conseguenza un'influenza significativa su economia, cultura e politica. La lingua malese è quella nazionale, e l'Islam, professato dalla maggior parte dei malesi, è la religione ufficiale del paese (benché sia stato fondato come stato laico). Storicamente, la società malese era rinomata per le sue attività commerciali costiere e per la sua capacità di adattamento culturale. Oggi, una consistente porzione della comunità malese predilige la vita nei villaggi rurali rispetto alle aree urbane.

La cultura malese è un calderone di influenze diverse, avendo assimilato, adattato e talvolta veicolato elementi di altri gruppi etnici locali, inclusi alcuni tratti della cultura giavanese. Nel corso dei secoli, la cultura malese ha subito l'impronta dell'induismo, del buddismo e dell'animismo. L'Islam cominciò a diffondersi tra i malesi solo nel XV secolo, secolo fino al quale la comunità malese era prevalentemente di religione indù.

Cinesi

A differenza dei malesi, il secondo gruppo etnico di rilievo in Malesia, quello cinese, non ha radici originarie nella penisola. I cinesi, costituendo circa il 21% della popolazione nazionale, sono intrecciati nel tessuto sociale malese da secoli. Tuttavia, fu nel XIX secolo, sotto il dominio coloniale britannico, che la presenza cinese si amplificò considerevolmente. È importante sottolineare che l'etichetta "cinese" non è monolitica; la Malesia accoglie diverse sotto-culture cinesi, inclusi i parlanti cantonesi, prevalentemente radicati nella capitale, Kuala Lumpur, oltre ai parlanti mandarino e hokkien. Nonostante il buddismo e il taoismo rappresentino le correnti spirituali dominanti, esiste anche una minoranza musulmana tra la popolazione cinese.

Col passare del tempo, la comunità cinese ha tessuto legami con la cultura malese, spesso attraverso unioni miste con gruppi etnici autoctoni ed altri. Questa fusione ha dato vita a una cultura ibrida, comunente definita come cino-malese, che riflette un vasto spettro di tradizioni.

Inizialmente, gli immigrati cinesi erano principalmente coinvolti in lavori infrastrutturali come la costruzione di ferrovie e nell'industria estrattiva dello stagno. Tuttavia, con il passare del tempo, hanno intrapreso percorsi imprenditoriali, consolidando, ai giorni nostri, una posizione di rilievo nel panorama commerciale ed imprenditoriale del paese.

Indiani

Gli indiani rappresentano il terzo gruppo etnico della Malesia, costituendo circa il 6,7% della popolazione totale. La loro immigrazione divenne marcata tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, periodo in cui l'Impero Britannico era in pieno vigore. Con la Malesia sotto giogo britannico, molti indiani giunsero qui in cerca di opportunità economiche. Gli indiani malesi contemporanei sono prevalentemente di origine Tamil, sebbene siano presenti anche gruppi Telugu e Punjabi. Inizialmente impiegati nella costruzione delle ferrovie, nelle piantagioni e nelle industrie della gomma e dell'olio di palma, hanno gradualmente scalato le gerarchie professionali del paese, distinguendosi particolarmente nel settore medico.

All’interno della comunità indiana, l'induismo predomina in termini di credenze religiose, anche se il cristianesimo e l'islam hanno una presenza significativa.

L'eredità indiana va ben oltre il dominio professionale e religioso, manifestandosi distintamente nella gastronomia malese. Numerosi piatti classici indiani sono stati assimilati e adattati localmente, contribuendo ad arricchire ulteriormente il variegato panorama culinario della Malesia.

Orang Asli

Un'ulteriore sfumatura del mosaico etnico malese è rappresentata dagli Orang Asli, termine che si traduce letteralmente in Uomini delle Origini. Spesso percepiti come un'unica grande entità da chi non è familiare con la regione, gli Orang Asli sono in realtà un insieme di diverse tribù e comunità, ognuna con la propria lingua, le proprie tradizioni culturali e legate a territori distinti. Nonostante queste differenze, tutte le tribù Orang Asli condividono un patrimonio comune come discendenti dei primi insediamenti noti nella Penisola Malese. Alcuni studi avanzano l'ipotesi che le prime tribù possano essere giunte nella regione circa 25.000 anni fa[2].

Tradizionalmente legati all'animismo, gli Orang Asli veneravano gli spiriti residenti in elementi naturali come alberi e pietre. Tuttavia, in epoche più recenti, alcuni hanno abbracciato religioni più diffuse come l'Islam e il Cristianesimo.

Sul fronte occupazionale, la maggior parte degli Orang Asli è impiegata nel settore agricolo, con una particolare predilezione per la coltivazione del riso. Coloro che risiedono in prossimità delle coste spesso traggono sostentamento dalla pesca. Con l'espansione urbanistica, un numero crescente di individui si è trasferito nelle aree urbane, trovando impiego in una varietà di settori. Nonostante la loro distribuzione capillare sul territorio, gli Orang Asli sono scarsamente rappresentati sul palcoscenico politico nazionale, con un solo seggio assegnato nel parlamento nazionale.

Le divisioni etniche in Malesia sotto la superficie

All'apparenza, le molteplici comunità etniche della Malesia sembrano convivere in armonia, e in parte, è effettivamente così. Tuttavia, durante il nostro soggiorno nel paese, abbiamo scorto una realtà un po' più intricata. È evidente come le città tendano a segmentarsi in quartieri prevalentemente abitati da specifici gruppi etnici. Ad esempio, nella Little India di Georgetown, predomina la presenza indiana, mentre nella Chinatown di Kuala Lumpur, è l'elemento cinese a farla da padrone. Sebbene alcune aree manifestino una mescolanza etnica più ampia, è comune osservare persone che interagiscono principalmente con individui della propria comunità.

Ingresso di Chinatown, Kuala Lumpur. Nella foto spicca il tradizionale arco con architettura cinese. L'arco è di colore rosso, con il tetto colorato di verde. Intorno al bordo del soffitto sono appese molte lanterne cinesi., anch'esse di colore rosso.  Sotto l'arco ci sono molte persone, di varie etnie.

Ingresso di Chinatown, Kuala Lumpur Credits: freestockcenter on Freepik

Per un turista, è poco probabile avvertire tensioni manifeste tra i vari gruppi etnici, ma scavando un po' più a fondo, emerge come tali divisioni persistano. Discussioni con i residenti locali e successive ricerche online hanno svelato che l'attuale scenario politico potrebbe acuire, più che lenire, queste fratture.

La Malesia si configura come una monarchia costituzionale federale, suddivisa in tredici stati e tre territori federali. È rilevante notare che rappresenta una delle poche democrazie multipartitiche nel Sud-Est Asiatico. Dall'acquisizione dell'indipendenza nel 1957, le dinamiche politiche malesi hanno sempre avuto al loro centro questioni di natura etnica. I partiti politici modulano spesso le loro campagne elettorali per guadagnare il favore di determinati gruppi etnici. Analogamente, gli elettori, pur valutando aspetti come economia e governance, tendono ad orientarsi verso partiti che rispecchiano il loro background etnico[3]. Questa focalizzazione etnica nella politica è talmente radicata da aver ispirato un gioco da tavolo, chiamato Politiko, dove i giocatori ambiscono a conquistare il sostegno elettorale per il proprio partito.

Fattori quali la religione e l'attuale sistema educativo rivestono un ruolo cruciale nel perpetuare queste divisioni. Entrambi agiscono come potenti catalizzatori nell'accentuare i divari tra diverse comunità, invece di favorire la creazione di ponti di dialogo e comprensione.

Il panorama religioso della Malesia: Stato laico o no?

La vibrante diversità culturale della Malesia trova espressione anche nel mosaico religioso che caratterizza il paese. Secondo il Censimento della Popolazione e delle Abitazioni del 2020, il 63,5% dei malesi si identifica come musulmano, il 18,7% come buddista, il 9,1% come cristiano, e il 6,1% come induista. Altre credenze—tra cui animismo, confucianesimo, taoismo, sikhismo e i Testimoni di Geova—completano il resto del mosaico spirituale. Questa pluralità non è solo un dato statistico; si manifesta tangibilmente anche nell'architettura e nei monumenti che adornano le città. Passeggiando per le strade urbane, non è raro avvistare una moschea, una chiesa e un tempio in prossima vicinanza.

Sebbene la Malesia si profili come uno stato laico, alcuni articoli della sua Costituzione sembrano contraddire questa definizione. L'Articolo 3, ad esempio, afferma che"L'Islam è la religione della Federazione; ma altre religioni possono essere praticate in pace e armonia." Inoltre, l'Articolo 160 stabilisce che “per essere riconosciuti come malesi, è necessario essere musulmani” (qui è importante notare la distinzione tra malesi a malesiani). Sia a livello federale che statale, esiste l'autorità di regolamentare la dottrina religiosa per i musulmani, con una predominante promozione dell'Islam sunnita, ponendo le altre correnti islamiche in una posizione di precarietà, spesso al confine della legalità.

Pittura impressionista di una moschea, un tempio hindu e una stupa buddista situati vicino l'uno all'altro. L'immagine ha molti colori, ma il blu, il giallo e il rosso sono i più prevalenti. In basso ci sono anche alcune persone che camminano, tutte appartenenti a religioni diverse. L'immagine è stata generata tramite DALL E.

Pittura impressionista di un tempio hindu e una stupa buddista situati in prossimità di una moschea. / Credits: DALL E

La Malesia adotta un doppio sistema legale, che incorpora sia il diritto civile che la legge della Sharia (Syariah). Ogni stato malesiano ha competenza in materia di Sharia. Nel novembre 2021, il Sultano di Kelantan, Muhammad V, ha ratificato il Kelantan Syariah Criminal Code Enactment 2019. Questo provvedimento introduce 24 nuove norme, ora vincolanti per tutti i musulmani nello stato di Kelantan. Tra queste figurano la criminalizzazione dell'apostasia, della distorsione degli insegnamenti islamici e, persino, dell'astinenza dal rispetto del sacro mese del Ramadan[4]. I trasgressori si espongono a sanzioni che variano da multe salate, all'arresto fino a tre anni e, in casi eccezionali, anche a punizioni corporali (anche se finora non sono stati registrati casi di tale natura).

Il provvedimento ha suscitato considerevoli preoccupazioni, in particolare tra organizzazioni come Sisters in Islam (SIS), Legal Dignity e Justice for Sisters (JFS). Conforme a un rapporto da loro diffuso nel marzo 2022, il nuovo codice alimenta la discriminazione e intensifica la stigmatizzazione verso comunità già marginalizzate. Il documento evidenzia come la legislazione colpisca in modo sproporzionato le donne, specialmente quelle single o imprenditrici nel settore della bellezza e dei cosmetici. Inoltre, si critica il fatto che tali norme vadano a minare i diritti dei difensori dei diritti umani, delle lavoratrici del sesso e delle donne che si identificano come lesbiche, bisessuali, queer o transgender.

Per i musulmani desiderosi di convertirsi ad un'altra religione, o di rinunciare completamente alla religione, il percorso è arduo e intricato, richiedendo l'approvazione di un tribunale della Sharia per ottenere il riconoscimento ufficiale come "apostati". Tali tribunali tendono a essere reticenti nell'accordare tali permessi, in particolare ai malesi di etnia e a coloro nati in famiglie islamiche[5]. Per color che si erano convertiti all'Islam in passato, abbandonare la nuova fede risulta ancora più difficile. Al contrario, la legge non impone alcuna restrizione ai non musulmani desiderosi di cambiare credo religioso; anzi, la conversione all'Islam è non solo accolta favorevolmente, ma fortemente incentivata dal governo.

Durante la nostra permanenza a Bangkok, abbiamo incontrato un giovane malese di origine cinese che ha deciso di lasciare la Malesia, citando il favoritismo governativo verso l'Islam come motivo principale. Ci ha narrato di come alcuni funzionari governativi abbiano più volte avvicinato suo padre, offrendogli denaro per persuaderlo a convertirsi all'Islam. Ha inoltre menzionato che il governo offre benefici fiscali ai musulmani per incentivare le conversioni. Nonostante le offerte economiche, suo padre, di fede buddista, ha deciso di rimanere fedele alle sue convinzioni. Tuttavia, è facile immaginare come molti possano essere indotti a optare per i benefici offerti, finendo per convertirsi.

L'accentuato orientamento verso l'"Islamizzazione" nella politica malese ha suscitato l'attenzione di numerose organizzazioni per i diritti umani e leader religiosi, inclusi quelli all'interno della comunità islamica. Una delle principali preoccupazioni manifestate da tali entità è relativo all'impiego di articolate campagne sui social media, da parte di gruppi islamici conservatori, mirate a guidare le generazioni più giovani verso un'interpretazione più tradizionalista dell'Islam.

Le scuole vernacolari in Malaysia sono una spada a doppio taglio?

Durante la nostra visita ad Ipoh, un autista locale con cui abbiamo condiviso una corsa tramite Grab ci ha illuminato sulla spesso dibattuta questione delle scuole vernacolari in Malesia. Intrigati, abbiamo intrapreso una ricerca online e, navigando tra una miriade di articoli, abbiamo scoperto che si tratta di una questione estremamente complessa.

Le radici delle scuole vernacolari in Malesia risalgono al XVIII secolo, quando gli immigrati cinesi ed indiani si percepivano nettamente distinti dalla popolazione malese autoctona. Nel desiderio di preservare la loro identità, decisero di istituire istituti educativi separati. Questa tendenza perdurò anche durante l'intero periodo del dominio coloniale britannico nel XIX secolo, epoca in cui l'impero britannico introdusse anche le scuole missionarie in lingua inglese. Tuttavia, i britannici riconoscevano il valore nel mantenere le scuole vernacolari, poiché contribuivano a preservare l'identità culturale e a mantenere un legame col periodo pre-coloniale. Entrambi i tipi di scuola, sia quelle in lingua inglese che quelle vernacolari, insieme alle scuole in lingua malese, furono mantenute anche dopo l'indipendenza dal dominio britannico nel 1957.

Sebbene non esista alcuna legge che impedisca esplicitamente ai bambini di un certo background etnico di frequentare una scuola che insegna nella lingua di un altro gruppo, nella pratica, i genitori tendono generalmente a mandare i loro figli a scuole che rispecchiano la propria eredità etnica e linguistica. Questo è particolarmente evidente nelle scuole cinesi e tamil, che accolgono principalmente studenti delle rispettive comunità etniche. Al contrario, le scuole malesi registrano spesso una maggiore diversificazione nella loro popolazione studentesca, accogliendo anche studenti cinesi ed indiani.

L'ideologia che sostiene l'esistenza delle scuole vernacolari è, di per sé, lodevole. Tali istituti mirano a preservare la lingua e l'eredità culturale dei gruppi etnici minoritari, assicurando che le loro tradizioni vengano tramandate di generazione in generazione. Tuttavia, questa medaglia ha anche il suo rovescio. La segmentazione dei bambini in base all'etnia e alla lingua fin dalla tenera età può innescare la costruzione di barriere sociali tangibili. Questa separazione ostacola la possibilità per i giovani di diversi background etnici di interagire e comprendersi reciprocamente, un fenomeno che tende a perdurare anche durante l'età adulta.

La prevalenza delle scuole vernacolari a livello primario in Malesia porta gli studenti a trascorrere circa sei anni formativi in ambienti etnicamente omogenei. Nonostante l'integrazione più ampia che si verifica a livello di scuola secondaria, i primi sei anni di formazione in contesti etnicamente uniformi possono radicare pregiudizi che, se non affrontati, possono protrarsi nell'età adulta. Questa circostanza è ulteriormente aggravata se i bambini sono esposti a pregiudizi preesistenti provenienti dalle proprie famiglie.

Nonostante le affermazioni di un sistema educativo attento a promuovere l'unità tra le varie etnie, recenti sondaggi tra gli adolescenti malesiani rivelano un panorama meno ottimistico. In un sondaggio condotto qualche anno fa, si è appreso che almeno l'80% dei partecipanti nutre una qualche forma di pregiudizio verso altri gruppi etnici[6]. Questo dato riflette una problematica più ampia: la difficoltà degli studenti di impegnarsi in semplici attività sociali con persone di un background etnico differente. Si tratta di una barriera che si manifesta in vari ambiti, sia che si tratti di condividere alloggi come coinquilini, partecipare ad apprendimenti di gruppo, o anche solo condividere un pasto.

Foto, in bianco e nero, del presidente Tunku Abdul Rahman che proclama "Merdeka", il 31 agosto 1957. Tunku Abdul ha la mano destra aperta e alzata verso il cielo. Accanto a lui e dietro di lui ci sono alcuni alti ufficiali della Malaysia. Sullo sfondo, una grande folla di malesi guarda il presidente.

Tunku Abdul Rahman che proclama "Merdeka", il 31 agosto 1957.

Nel tentativo di mitigare le divisioni etniche, nel 2005 è stato introdotto un Modulo di Relazioni Etniche come corso obbligatorio in tutte le università pubbliche. Tuttavia, la sua implementazione non è stata priva di critiche. La revisione del 2012, pur mirata a migliorare il corso, ha continuato a sollevare controversie[7]. La critica che alcuni accademici avrebbero utilizzato il corso come veicolo di indottrinamento, piuttosto che un mezzo per promuovere l'educazione e la comprensione interculturale, ha gettato un'ombra sul suo impatto reale, andando a sottolineare un problema profondo: la difficoltà di separare l'educazione dalle agende politiche o ideologiche.

Questo è ulteriormente evidenziato dalle osservazioni dell'avvocata per i diritti umani ed attivista Siti Kasim. Essendo lei stessa una musulmana malese di stampo liberale, Siti è molto critica verso le attuali politiche governative e parla spesso della necessità di lasciare la religione fuori dal sistema scolastico. Kasim è arrivata persino ad etichettare le scuole nazionali della Malesia come "fabbriche di indottrinamento per i bambini malesi", esprimendo preoccupazione verso un sistema scolastico che rischia di creare una società ancor più polarizzata, piuttosto che cerca di promuovere l’integrazione e l’unità nazionale.

Conclusioni

Non spetta a me giudicare come un paese dovrebbe navigare attraverso le proprie complessità culturali, le relazioni con le minoranze etniche, né tantomeno il proprio sistema educativo. Sono solo un viaggiatore, e di certo non un esperto in questi ambiti. Lo scopo di questo articolo è solo di mostrare questioni che ritengo molto significative, in parte perché rispecchiano sfide che affrontiamo anche nel nostro paese, sebbene in modi diversi.

Un mese trascorso in Malesia mi ha offerto una finestra sul panorama culturale del paese. Sebbene le divisioni non siano immediatamente evidenti al visitatore, un'indagine più approfondita rivela un quadro diverso. La Malesia è indubbiamente un paese meraviglioso dove mi sono sentito calorosamente accolto da individui di tutti i background etnici. Tuttavia, come delineato in questo articolo, le divisioni etniche esistono, e come qualsiasi sfida sociale, è meglio affrontarle il prima possibile per prevenire che si inaspriscano ulteriormente.

La Malesia ha fatto passi da gigante dal conseguimento dell'indipendenza ad oggi, e sono ottimista che la nazione possa lavorare attraverso le questioni qui evidenziate per raggiungere la completa unità nazionale che molti malesi valorizzano. Raggiungere questo obiettivo in un contesto politico e sociale complesso come quello malese, richiederà un impegno significativo da parte di tutte le parti interessate, inclusi i responsabili politici, gli educatori, le comunità e gli individui. La mia speranza è che la Malesia possa mostrare la via, fornendo un esempio che ispirerà altri paesi a seguirne l'esempio.

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